Una teoria sulla nostra provenienza extraterrestre (Post 3)

Figli di Dio e figlie degli uomini ("Figli di Dio" si può anche leggere "Figli di coloro che vennero dal cielo")

 

Genesi 6:1,3 Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nacquero loro figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non resterà sempre nell'uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni».

 

Genesi 6:4 C'erano sulla terra i giganti a quei tempi - e anche dopo - quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono questi gli eroi dell'antichità, uomini famosi.

Numeri 13:33 vi abbiamo visto i giganti, figli di Anak, della razza dei giganti, di fronte ai quali ci sembrava di essere come locuste e così dovevamo sembrare a loro».

Giovanni 10, 14-18 Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio".

E ho altre pecore che non sono di quest'ovile;

Questa frase mi fa molto pensare, considerando che Gesù è venuto a redimere tutti gli uomini di buona volontà (ovile) e non soltanto gli israeliti. Dunque, al di la dell'ovile......

Questa teoria la espongo perchè mi è stato richiesto di farlo e non per proselitismo. Ciò non toglie che può fungere da stimolo per uno scambio di idee. Permettimi di sotto porti una storiellina....

E’ il momento ora di rivolgere l’attenzione a quel corpus mitologico e storico che, secondo molti studiosi, è tra le fonti precipue della Genesi, la letteratura sumerica. L’Epopea di Gilgamesh, risalente al XXVI sec. a. C., ripercorre in dodici canti e in più di 3000 versi, le avventure del re di Uruk, Gilgamesh, e del servo e pastore Enkidu. Interessa qui la figura di Enkidu, l’uomo primordiale creato dalla dea Aruru, la regina della terra coronata di lapislazzuli. “Come un vasaio, la dea mescolò dell’argilla al di sopra dell’abisso cosmico in modo da formare quattordici immagini di sé stessa, allineandole in due file, sette alla sua destra e sette alla sua sinistra; tra le due file, Amuru, detta anche Mami, pose un mattone cotto; poi pronunciò degli incantesimi sopra alle immagini di argilla ed esse divennero vive: quelle alla sua destra come uomini e quelle alla sua sinistra come donne; gli uni e le altre erano fatti a sua immagine… presa dall’entusiasmo, creò donne sterili, eunuchi e altri quattro tipi di umani di cui non si ha notizia. Tutto ciò eccitò Enki, il dio della saggezza, che volle esibire a sua volta la propria creatività; ma era troppo ubriaco; dal suolo emerse barcollando un uomo contorto e mal sviluppato; disgustato da tale creatura, Enki chiese ad Amuru di correggerla, ma la dea-creatrice non aveva il potere di cambiare ciò che già esisteva.”


Si evidenziano due aspetti: una presunta parziale androginia ed il metodo del “provando e riprovando”. Mami modella esseri sia maschili sia femminili, ma i primi, poiché furono comunque “fatti a sua immagine” potrebbero non essere del tutto virili, conservando qualcosa di muliebre, come dimostra pure il mito della creazione di Enkidu: “Amuru lavò le sue mani, / prese un grumo di terra e lo piantò nella steppa. / Essa creò un uomo primordiale Enkidu… con una testa acconciata al modo di una donna, / con riccioli che crescono come quelli di Nisaba.” Enkidu, come emerge dai versi riportati, pur essendo un guerriero, aveva qualcosa di femmineo, sia pure solo nella capigliatura.

Sia la frenesia creativa di Amuru che dà vita a donne sterili, evirati e altri esseri, sia la maldestra azione di Enki evocano l’ipotesi dei molteplici tentativi nella sperimentazione genetica ad opera di ancestrali “numi“ creatori.

Lo storico babilonese Berosso, sacerdote del dio amorreo Marduk (IV-III sec. a.C.), espose in greco la cosmologia, la mitologia, l’astronomia e la storia mesopotamica dall’era antidiluviana ad Alessandro Magno. Berosso, in un frammento pervenutoci per tradizione indiretta, accenna addirittura a mostra con due teste, una d’uomo e una di donna.

Tra i miti greci sulla creazione, quello orfico narra della Notte dalle nere ali, una dea primordiale, che, amata dal Vento, depose un uovo d’argento nel grembo dell’oscurità. Eros, il cui nome era anche Fanete, uscì dall’uovo e mise in moto l’universo. Eros era un ermafrodito.

Tra gli Elleni era diffusa la narrazione concernente le cinque età dell’uomo: gli uomini generati spontaneamente dalla Terra, costituirono la stirpe appartenente all’età dell’oro e furono sudditi di Crono. Essi, che vivevano felici in armonia con la natura e tra loro, si estinsero.

Subentrò quindi la progenie dell’età dell’argento: questi uomini erano litigiosi e rozzi, ma non combattevano gli uni contro gli altri. Furono distrutti da Zeus.
Si diffuse poi la genìa dell’età del bronzo, i cui uomini caddero dai frassini come frutti maturi. Erano arroganti e crudeli; la Morte s’impadronì di loro.
La quarta stirpe, appartenente anch’essa all’età del bronzo, fu nobile e magnanima perché generata dagli dèi e da madri mortali. Gli esponenti di tale stirpe divennero eroi e, dopo la morte, furono accolti nei Campi elisi.
L’ultima generazione è l’attuale dell’età del ferro ed è formata da snaturati discendenti della precedente: essi sono spietati, iniqui, sleali, lussuriosi, empi e traditori.

Questi due racconti tradizionali sono un’eco trasfigurata di esperimenti genetici alieni, il primo dei quali forse sfociò nella selezione di esseri androgini?
D’altronde anche Platone nel dialogo intitolato Simposio (388-367 a.C.), incentrato sul tema dell’amore, per bocca di uno degli interlocutori, il commediografo Aristofane, ricorda che, un tempo, gli esseri umani erano sferici e doppi; molti di loro erano contemporaneamente maschio e femmina. Poiché essi si sentivano forti e perfetti, diventarono superbi, sicché Zeus per punirli, li tagliò a metà.

Il più antico libro di mitologia e storia del Giappone, il Ko-ji-ki, compilato nel 712 d. C., elenca nel libro primo le generazioni ancestrali dei numi: alla settima generazione appartengono Izanami e Izanaghi. Essi, in un primo tempo, “generarono un figlio, una mignatta di figlio. Messo questo figlio in una barca di canne, lo gettarono via… In seguito generarono l’isola Aua. Anche costui non è contato nel numero dei figli.” In seguito i due, ergendosi sul fluttuante ponte celeste, rimestarono con una lancia la massa informe della Terra fino a farla coagulare; dalle gocce che colarono dalla punta della lancia, nacquero le isole del Giappone. Quindi Izanami e Izanaghi concepirono le divinità della natura.
Interessa qui notare di nuovo i reiterati tentativi nella genesi per opera della coppia divina, di cui il primo abortito, ma anche il fatto che Izanaghi significa “il re maschio”, mentre Izanami vale ”la donna-maschio”. Un altro caso di androginia?

I Maya, l’ enigmatico popolo mesoamericano, raccontavano nel Popol Vuh, il testo sacro dei Quiché, che la Terra era stata formata dagli dèi, prima della creazione dell’uomo, generato da una pannocchia di mais, dopo due tentativi falliti, uno con l’argilla, l’altro con il legno.

E’ possibile individuare delle affinità tra i racconti tradizionali mesoamericani da un lato e le saghe sumeriche dall’altro: ad esempio, sia i Maya sia i Sumeri ricordano che le divinità diedero vita, dopo svariate prove, a creature atte a servirli. Com’è noto, l’antica civiltà mesopotamica aveva presumibilmente conservato la memoria di visitatori cosmici, gli Anunnaki (letteralmente Coloro che dal Cielo sono venuti sulla Terra) e gli Igigu. Esisteva una gerarchia divina al cui vertice erano Anu, Enlil ed Enki: erano a loro sottoposti gli Anunnaki che sovrintendevano ai lavori affidati agli Igigu. Questi ultimi dovettero innalzare le montagne, formare la grande palude nella zona del delta dove sfociavano il Tigri e l’Eufrate, scavare i canali nella regione di Sumer. Ma, dopo alcuni millenni di immani fatiche, gli Igigu si ribellarono. In seguito a lunghe trattative, gli dèi maggiori trovarono la risoluzione: uno di loro impastò dell’argilla con il sangue di un nume appositamente sacrificato e modellò così gli uomini dicendo: “Chi porterà il giogo degli Igigu? È l’uomo che sarà caricato della loro fatica!”

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