Gabriele D'Annunzio ed Eleonora Duse
La grande saga d'una tormentata, infelice passione
«La vita scorre - afferrala nell'arte - figlio! - non attardarti più sulla tua strada - non attardarti!»
"Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato".
Morendo a migliaia di chilometri di distanza dal suo paese, sola e malata, è a D'Annunzio che Eleonora Duse rivolge, con uno spirito spoglio di rancore, i suoi ultimi pensieri.
Nel momento in cui si innamorano, la Duse, a 36 anni, è già nel fiore della sua carriera; D'Annunzio ha cinque anni in meno di lei e non perderà mai occasione per farle pesare questa differenza d'età.
Nel 1892 c'è il primo contatto epistolare. La Duse ha appena letto "L'Innocente" e, rimasta affascinata, chiede all'autore di lavorare per lei, di preparare un'opera che lei possa portare in scena.
Nel settembre 1894, a Venezia, il primo incontro fatale: Eleonora rimane incantata ed è da questo momento che si prefigge quello che, nonostante i fischi e i mugugni del pubblico, diventerà per lei una missione: fare conoscere al mondo intero l'opera teatrale del suo amato, che per lei scriverà quattro tragedie.
Un'unione apparentemente così stretta, che coinvolge amore e arte, imporrebbe ad entrambi di troncare qualsiasi altra relazione. Ma non sarà così per il Vate che continuerà ad affollare la propria alcova di sempre nuove conquiste: se circa 150 sono le sue amanti accertate, si calcola che in realtà siano state almeno mezzo migliaio. Il suo è un harem che, fra cocaina e passioni sfrenate, accompagnerà la leggenda del Superuomo fino al declino.
La sofferenza della Duse al fianco di D'Annunzio inizia presto. La loro vita è un'assurda routine: lei continua a recitare, a guadagnare e ad indebitarsi per poter portare in scena le fallimentari opere teatrali dell'amato. Lui continua a scrivere e a spendere i soldi di Eleonora per potersi mantenere nel lusso più sfrenato.
Per Eleonora egli scrive "Il sogno di un mattino di primavera", stroncato dalla critica come "infantile, presuntuoso e di una noia insopportabile". Secondo D'Annunzio la colpa dell'insuccesso è di Eleonora, alla quale preferisce la diva Sarah Bernhardt, più celebre e quindi più adatta alle sue divoranti ambizioni. E' infatti alla Bernhardt che il poeta ha già deciso di affidare "La città morta", opera che sta scrivendo per Eleonora e in cui lei ripone tutte le sue speranze di gloria comune.
Tradita come donna e come attrice, la Duse decide di troncare la relazione, ma continua contro ogni ragionevolezza ad amare D'Annunzio.
E il Vate continua implacabilmente a farle del male. Famoso è l'affronto di "Fuoco", romanzo autobiografico dove il poeta mette a nudo la loro storia d'amore, pubblica la loro intimità, divulga con insolenza i segreti d'alcova. La risposta della Duse sarà coerente con il suo folle amore: "La mia sofferenza, qualunque essa sia, non conta quando si tratta di dare un altro capolavoro alla letteratura italiana, E poi, ho 41 anni…e amo." Ma l'offesa più imperdonabile rimane quella di togliere ad Eleonora il ruolo di protagonista nell'opera "La figlia di Iorio" , scritta su misura per lei, quando ormai l'attrice sta per portarla in scena, sa già la parte a memoria e ha persino già pronto il costume. D'Annunzio manderà un fattorino a ritirare il costume di scena, inviando alla Duse un biglietto: "Il teatro è un mostro che divora i suoi figli: devi lasciarti divorare."
Di fronte all'evidenza del tradimento, nel 1904 Eleonora gli scrive:"Non ti difendere, figlio, perché io non ti accuso. Non parlarmi dell'impero della ragione, della tua vita carnale, della tua sete, di vita gioiosa. Sono sazia di queste parole! Da anni ti ascolto dirle…Parto di qui domani. A questa mia non c'è risposta."
In effetti non vi fu mai risposta a quell'addio.
Solamente molti anni più tardi D'Annunzio sembra volgersi indietro e restituire alla Duse una statura fondamentale nella propria esistenza.
"Io ti amo meglio di prima" le scrive nel '23, e conclude: "Ti bacio le mani tanto che te le consumo."
La morte della Divina, a Pittsburgh il lunedì di Pasqua del 1924, suscita in Italia una commozione enorme.
D'Annunzio si appella a Mussolini affinché lo Stato provveda a far tornare in patria, e subito, "la salma adorabile". Devastato dal rimorso, dice per una volta la verità: "E' morta quella che non meritai."
Al Vittoriale è tuttora presente nella stanza chiamata l'officina una statua raffigurante il volto di Eleonora Duse che il Vate soprannominò musa velata poiché abitualmente teneva la statua coperta da un velo per non provare dolore nel rivedere quell'immagine che la mostrava giovane e bella ancora.
TheEnd
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