di
Mario Giordano
Visto che ultimamente va assai di moda parlare
ai giovani e dei giovani, avrei anch'io una cosa da dire: cari giovani, cercate di
muovere le chiappe.
Datevi da fare.
Alzate per un attimo lo sguardo
da Facebook, spegnete la Playstation, scendete dal pero e rimboccatevi
le maniche.
È vero che siete il futuro, come tutti vi ripetono
in questi giorni, facendo a gara a blandirvi, dopo che il presidente
Napolitano ha dedicato a voi il suo messaggio di Capodanno.
Ma il futuro
non piove addosso a nessuno.
Il futuro va conquistato.
E tutte le generazioni
prima di voi se lo sono conquistato, sputando sangue e sudore.
Mica dormendo
tra guanciali di alibi confortevoli, vezzeggiati dalle coccole degli editorialisti
e dalla melassa del Quirinale...
Sarà che ormai l'età avanza
inesorabile anche per chi continua a mostrare una faccia un po' da bambino,
ma non ne posso davvero più di tutto questo giovanilismo a buon mercato
che sta rincitrullendo il Paese:
poveri giovani di qua
poveri giovani di là
«dobbiamo
pensare ai giovani»
«dobbiamo lavorare per i giovani»
«dobbiamo
spendere per i giovani »
«l'Italia non è un Paese per giovani»
«la
società che inganna i giovani».
C'è il rischio che tutto
questo compatimento a reti unificate diventi una giustificazione a buon mercato
per una generazione di bamboccioni, che così si convincono che sia un
loro diritto trovarsi sempre nel piatto la pappa fatta.
Anziché doversela
conquistare come hanno fatto tutte le generazioni che li hanno preceduti.
Per
carità, la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli da far paura.
Se un ragazzo su tre non riesce a trovare lavoro, c'è di che preoccuparsi.
Ma perché un ragazzo su tre non riesce a trovare lavoro?
C'è la
crisi, certo.
Ma sul sito di Repubblica ieri mattina campeggiava un sondaggio
sulla domanda chiave «Qualsiasi lavoro meglio di niente?».
Ebbene
a metà pomeriggio l'87 per cento delle persone avevano risposto «no»,
cioè non sono disposte ad accettare «qualsiasi lavoro»
perché «il
primo lavoro è troppo importante»
perché «non ha
alcun senso sprecare anni di studio»
perché «le condizioni
a volte sono svilenti».
Disoccupati sì, ma con la puzza sotto
il naso.
Un dirigente di una grande azienda mi ha raccontato di essere rimasto
senza segretaria lo scorso mese di agosto: su dieci giovani disoccupate interpellate
per occupare quel posto nessuna ha accettato.
«Dobbiamo andare in vacanza»
«Proprio
in agosto dovevate chiamarmi?»
«Sto partendo per il mare».
Alla fine come segretaria ha assunto una albanese, bravissima, che parla quattro
lingue e ha una voglia matta di darsi da fare.
E allora forse il modo migliore
per aiutare davvero i giovani è provare a dare loro una scossa.
Smettere
di ricoprirli di giustificazioni, di fornire pretesti alle eventuali pigrizie,
di attutire con abbondanti dosi di bambagia la naturale tendenza al poltronismo.
Altrimenti si incentiva una Generazione S, cioè generazione smidollati,
gente che si ritiene in diritto di bivaccare alle spalle dei genitori fino
a trent'anni perché
«poveri noi, che ci volete fare? È colpa
del mondo, della società, dei tempi duri. Ed è così difficile
trovare lavoro...».
Ma le avete viste le carte d'identità di quelli
che vengono presentati come «giovani »?
L'altro giorno su Repubblica
ne hanno intervistata una: aveva 30 anni.
Nel gruppo di dodici universitari
saliti al Quirinale per contestare la riforma Gelmini c'erano un ventottenne,
un paio di ventisettenni, tre ventiseienni.
Ora vi pare possibile che a ventisette
anni si possa essere ancora studenti fuori corso a Scienze politiche?
O a Filosofia?
E vi pare possibile che a 30 anni si possa essere intervistati come «giovani
disoccupati» da Repubblica?
A me vengono i brividi quando leggo sul Sole
24 Ore che le Regioni, proprio in nome del giovanilismo imperante, decidono
di distribuire più di un miliardo di euro a pioggia, in programmi come «Giovani
sì» della Toscana, o «Principi attivi - giovani idee per
la Puglia», che probabilmente finiranno solo per finanziare qualche cooperativa
di amici con iniziative assurde, dal corso di formazione per tutori del coniglio
nano al contributo a fondo perduto per aprire un coiffeur specializzato in
clienti calvi.
Vi stupisce?
Macché.
Ne abbiamo viste di tutti i colori
negli anni passati: più che ad aiutare i giovani questi fondi normalmente
aiutano quelli che sul malessere dei giovani ci sguazzano.
Sono gli stessi,
probabilmente, che contribuiscono ad alimentare tutta questa retorica che ha
obnubilato pure il Quirinale.
Dicono: bisogna essere comprensivi, perché nessun'altra
generazione si è mai trovata a vivere una situazione così difficile.
Ma stiamo scherzando?
Se in Italia oggi possiamo permetterci certi lussi, compreso
quello di buttare un miliardo di euro in progetti regionali finalizzati all'inutilità, è perché c'è stata
una generazione che ha ricostruito il Paese nel dopoguerra, quando la situazione
era difficile davvero e per strada c'erano le macerie reali, non quelle immaginate
dagli editorialisti.
E quando il problema dei giovani era quello di avere o
no la pagnotta a fine giornata, mica quello di accendere l'iPad.
E dunque,
cari ragazzi, se ce l'hanno fatta loro, i ragazzi del dopoguerra, coraggio,
ce la potete fare anche voi.
Purché la smettiamo, noi padri e fratelli
maggiori, di trattarvi da bambinetti viziati.
E cominciamo a prendervi, come
meritate, a calci in culo.
È l'unico modo in cui si riesce ad arrivare
davvero lontano.
Che
altro aggiungere?
Mario Giordano mi pare abbia già detto tutto.
E invece
di cose da dire io ne ho ancora tante...
Chissà com'è che noi "giovani" degli
anni '60 avevamo solo dei doveri e nessun diritto.
Chissà com'è che
io diplomata in ragioneria a luglio del 1965, con la media del 7 (che erano
VERI 7 e non i voti che si danno oggi) ho impiegato 5 anni e 3 mesi prima di
trovare una vera occupazione (15 ottobre 1970).
Dico vera, perchè in
quei 5 anni e 3 mesi ho fatto di tutto, compresi mesi e mesi di lavoro gratuito.
("Signorina...ha detto il Direttore se può venire a lavorare oggi...ma
non possiamo pagarla...")
E la signorina, che ero poi io, andava...rimettendoci
anche i soldi per l'autobus...
Ci chiamavano NOVANTISTI all'epoca, che vuol
dire che lavoravamo per 90 giorni, cioè per 3 mesi...e poi a casa.
E
prima di essere richiamati doveva passare un anno...vedi A.C.I. e Poste.
E
chissà come mai, nonostante non fossi una stupida e fresca di studi,
non sono MAI riuscita a vincere alcuno dei numerosi concorsi ai quali partecipai,
tra i quali uno alla Banca d'Italia, dove per partecipare dovevi avere non
so quanti requisiti...e io li avevo tutti.
Chissà com'è che ai
3 concorsi ai quali partecipai all'Ente Provinciale del Turismo di Bologna,
nonostante bastasse la licenza media, io mi classificavo sempre:
seconda se
il posto era uno
terza se i posti erano due
quarta se erano tre
Nonostante
questo, in quei 5 anni e 3 mesi, mi sposai, misi al mondo un figlio, e comprai
anche casa (col mutuo ovviamente...) e nel frattempo ho abitato dal 1968 (anno
del mio matrimonio) fino al 1975 in casa dei miei genitori.
E la casa era già mia
dal 1970...ma l'affittammo, perchè non potevamo permetterci di andare
ad abitarci.
Perchè ci imbarcammo in questa avventura della casa, (anche
se a dire il vero io ero molto restia, furono i miei genitori a convincermi)?
Perchè gli affitti, almeno qui a Bologna, si aggiravano sulle £.
80.000 al mese (spese condominiali a parte), quando mio marito, ragioniere
in un'ottima S.P.A., dove ha lavorato fino al 31/12/2007, data della sua andata
in pensione, prendeva UDITE UDITE ben £. 105.000 al mese, che erano diventate £.
110.000, quando ci sposammo, per il lauto assegno familiare dell'epoca.
Quando
rimasi incinta ho lavorato fino ad una settimana prima di partorire, e sono
ritornata dopo solo due settimane dal parto.
Perchè?
Perchè se
andavo a lavorare mi pagavano, se stavo a casa NO.
Elementare Watson!!!!
Devo
continuare?
Solo un'ultima cosa...
Mia madre iniziò a dirmi...
"Ma guardala...si
comporta ancora come una bambina...ed ha quasi 30 anni..."
mentre di anni ne
avevo ancora 23/24/25...
Buona gioventù a tutti
Leyla