Buongiorno
Tutti abbiamo
delle "cicatrici"...
chi nel
corpo...
chi nella
mente...
chi
nell'animo...
chi nel
cuore...
l'importante è
saper distinguere le cicatrici "buone"
da quelle
"cattive"
Lodovisca
Le
"mie" cicatrici
Chi di noi non
ha cicatrici?
Quelle
invisibili, quelle che fanno più male, gli altri non le possono
vedere...
ma non è di
quelle che voglio parlarvi, quelle sono solo mie...racchiuse nel mio
cuore...
Vi parlerò
invece di quelle visibili a tutti, che nonostante siano cicatrici hanno per me
dei bei ricordi.
Ne ho solo
due...una più bella dell'altra...
Chi vi scrive,
oggi, non è Lodovisca...
ma
Visca...
Così mi hanno
chiamato tutti fino all'età di 12 anni
e questi miei
ricordi appartengono solo a lei...
Un
noioso pomeriggio di primavera
Abitavo a
Mantova, frequentavo ancora le elementari...la IV o la V.
Giù in cortile,
quel pomeriggio, eravamo solo Vittoria ed io, che, oltre ad abitare nello
stesso palazzo, eravamo anche compagne di classe.
Stavamo giocando
a palla, quando la madre la chiamò e così io rimasi da sola.
Annoiata buttavo
la palla per aria, poi contro un muro, la facevo rimbalzare, nell'attesa che
Vittoria tornasse.
Ad un tratto nel
raccogliere svogliatamente la palla, senza che me ne rendessi conto, battei la
testa contro lo spigolo di un muro. Ricordo ancora il senso di vertigine che
provai. Raccolsi la palla con una mano, mentre portai l'altra alla fronte, dove
avevo battuto, e sentendola bagnata, la ritrassi per accorgermi che era tutta
sporca di sangue.
Poi, quasi
barcollando, mi avviai verso le scale per tornare su in casa, non perchè mi
sentissi male, ma perchè mi ero stufata di stare lì da sola.
Ricordo come in
un sogno che come entrai nel portone vidi Vittoria, che nel frattempo era
tornata e si era nascosta per farmi uno scherzo.
Come mi vide
ammutolì ed io la guardai come per dire...ma che ci fai qui...ma nè io nè lei
parlammo...
Salii le scale
con la palla nella mano sinistra, mentre con l'altra cercavo di lenire il dolore
che avevo sul sopracciglio destro.
Cosa fece mia
madre quando mi vide, non ricordo.
Il ricordo
seguente è di me e mamma che a passo svelto andavamo in ufficio da babbo ed io
che le chiedevo...
"Mamma, non si
spaventerà babbo nel vedermi così?"
E poi ricordo la
farmacia dove mi portarono, una dottoressa che mi puliva la ferita e
che decretava che bastava un cerotto a pinza, niente punti.
Ma il ricordo
più bello è quando entrai in classe la mattina dopo.
Vittoria aveva
raccontato alle altre compagne quello che era successo, ingigantendo forse
l'accaduto, anche se in effetti il sangue che era uscito non era poco e lei mi
aveva visto col viso tutto insanguinato.
Nessuno si
aspettava di vedermi andare a scuola quella mattina...
...e così
quando entrai in classe fui accolta come un'eroina e tale mi sentii per tutto il
giorno...
grazie al mio cerotto e al mio occhio gonfio...
Il segno è quasi
scomparso, anzi, non si vede proprio più. Infatti, mentre scrivevo, mi sono
detta...ma sei sicura che fosse il sopracciglio destro? E così sono andata in
bagno a specchiarmi per controllare e l'ho individuato a
fatica...
...mentre il
ricordo di quel mio ingresso in aula...accolta prima dallo stupore e poi dai
gridolini di gioia delle mie compagne...circondata da tutte loro...è sempre vivo
in me...è un meraviglioso segno indelebile nel mio cuore...
La
spina di mora
Fine Agosto
1956.
Come ogni anno
mi trovavo a Martina Franca, ospite della nonna materna.
Nonna Maria,
ogni anno, affittava un podere completo di trullo, dove trascorreva parte
dell'estate, insieme ai figli che ancora non si erano sposati e dove gli altri,
quelli già sposati, a turno la
raggiungevano,
chi giornalmente, data la vicinanza con Taranto, chi per fermarsi più a lungo,
come la mia mamma, che abitava a Mantova.
Era così già da
parecchie estati. Ma quella era un'estate particolare.
Nel podere
eravamo tutti bambini o ragazzi...gli adulti non c'erano...
Erano
altrove...uno zio...uno dei tanti figli di nonna Maria...era ricoverato
nell'ospedale di Bari...stava morendo...
Ma non è di
questo che voglio parlarvi...
Le mie estati a
Martina Franca erano meravigliose.
Il podere era
grande, pieno di alberi di fichi, di vigne...
...era
bellissimo salire sopra i trulli, saltando da un tetto all'altro, stendersi
sulla calda pietra bianca a prendere il sole...
...o
arrampicarsi sugli alberi e mangiare i fichi, colti al momento, con la
gocciolina di "latte" che si formava quando li staccavi e che ti rendeva le mani
appiccicaticce...
...stare
sdraiati sotto le vigne e rimirare la perfezione di stupendi grappoli
d'uva...
...osservare le
laboriose formichine, permettendo loro di salirmi sulle gambe o sulle
mani...
...oppure in
assolati pomeriggi "giocare" con i grilli...erano piccoli, graziosi, non avevano
paura di me, ma soprattutto io non avevo paura di loro...
...e le
lucertoline...mi stavo dimenticando delle lucertoline...passavamo interi minuti
ad osservarci, immobili e... silenziosamente scommettevo con
loro...vediamo chi si muove per prima?
...o andare a
cercare la rucola che allora era solo un'erba selvatica, mica la trovavi al
mercato...ma quanto era più buona...
...non c'era Tv,
non c'erano giochi di società, non c'era nulla, eppure io ero felice...mi
piaceva tanto stare lì...
Quando c'erano i
cuginetti più grandi, veniva permesso a noi bimbi di uscire dal podere per
andare ad "esplorare" le zone limitrofe, che si trasformavano ai
nostri occhi in un mondo incantato, in una terra di conquista.
Così successe
quel giorno...
...su...andiamo
a raccogliere le more...propose qualcuno...
e così...io,
Marisa, Palma, Pino, Franco, Rosaria, Lino andammo a "caccia" di
more...
Le
trovammo...erano bellissime, nere, grosse...succulenti.
Le mangiammo
tranquillamente così, prendendole dalla pianta, senza lavarle.
Tornammo a casa,
oltre che sporchi di terra, con le mani violacee dal colore dei frutti che
avevamo gustato, pieni di graffi in ogni parte del corpo causati dalle spine dei
rovi, ma felici.
Nessuno di noi
si accorse che io mi ero portata a casa anche un altro "ricordino"...una spina
di mora che mi era entrata nell'unghia del dito indice della mano
destra.
Quest'ospite
indesiderato rimase fermo e buono per un po', finchè il dito iniziò a farmi
male, fino ad ingrossarsi e a divenire violaceo.
Era una cosa che
quasi tenevo nascosta...
...babbo era a
Mantova...mamma a Bari...
...capivo che
non potevo dare preoccupazioni ai pochi "grandi" che c'erano in
casa...
...per via dello
zio...
...chissà perchè
i "grandi" pensano sempre che "noi" bambini non capiamo...
...ed invece
capiamo...oh...se capiamo...
Era una specie
di segreto fra noi ragazzini e soprattutto Franco e Lino (i più grandi) facevano
a gara per trovare il rimedio per far sgonfiare il dito.
"Mettiamolo
nell'acqua fredda (Franco)...ma no che dici, bisogna metterlo nell'acqua
bollente (Lino)..."
Il mio povero
dito, dopo queste "docce" scozzesi, peggiorava sempre più, finchè non se ne
accorse nonna Maria.
Era
giovane nonna Maria, avrà avuto all'epoca poco più di 50
anni.
Quella nonna
così parca di sorrisi, con gli occhi sempre tristi, che la vita aveva molto
provato e che ancora non aveva finito di presentarle il conto di chissà
quali oscuri peccati commessi in un'esistenza precedente...
...quella
nonna...si mise il fazzoletto in testa, mi prese per mano e con la corriera mi
condusse in città dal medico di famiglia...
Io mi sentivo
importante agli occhi dei miei cugini...la nonna stava facendo questo per
me...solo per me...
Era come se ai
nostri giorni avessimo preso l'aereo per andare a New York...
Il medico capì
che nell'unghia vi era qualcosa. Bisognava farla cadere. Mise delle pomate e nel
giro di una settimana l'unghia cadde, rivelando quella piccola spina di
more.
L'unghia
ricrebbe un po' diversa dalle altre, più dura, meno armoniosa, ed anche il dito
rimase leggermente più grosso.
Mai avuto
problemi, mai nascosto questo piccolo difetto.
Sono la prima a
farlo vedere e a raccontare cosa mi successe da piccola.
Quello che gli
altri non sanno è come quel mio dito mi lega tanto a nonna Maria...se fosse
rimasto integro come gli altri, dite che conserverei ancora tra le cose preziose
che il mio cuore custodisce...
...il ricordo di
estati calde, dal dolce sapore di more, profumate di fichi, di uva, popolate da
formichine, grilli e lucertoline, con in sottofondo una voce pacata che mi infuse tanta
sicurezza...
"Vieni...dammi
la mano...andiamo in città".
Visca
Bologna, 27
ottobre 2003
Martina Franca
(Ta)
Estate
1953