Se c'è un giudizio, una frase, uno sconforto che unisce Berlusconi agli italiani è proprio nel giudicare l'Italia «un paese di merda». È questo l'unico giudizio che lega intellettuali e popolo, Palazzi, élite e gente comune. Dalla ricca letteratura antitaliana di destra e di sinistra allo sfogo arcitaliano di strada, quell'espressione, diretta o rielaborata, risuona da Dante ai nostri giorni. Un paese coprofilo.
Anni fa sostenni che nel nostro paese vige la merdocrazia, che è il
contrario della meritocrazia: vanno avanti le persone di quella sostanza. Mi
capita di ripeterlo quando non mi sente nessuno per un disservizio dei
voli o dei treni, per le ingiuste vessazioni subite dalla giustizia o
da enti pubblici, per la maleducazione e l'inciviltà dilaganti,
per l'approssimazione, la faziosità e la corruzione diffuse, per
il malcostume e l'assenza di dignità e carattere.
Lo penso
o lo dico in solitudine, da amante ferito della mia patria; ma finché si
resta nell'ambito privato, lo sfogo di una telefonata notturna, lo capisco.
Smetto di capirlo se viene divulgata e usata pubblicamente, come è accaduto.
O se diventa la linea politica di un giornale che se la prende col proprio paese perché ha votato Berlusconi, suggerendo che il premier sia della stessa sostanza del suo popolo. Salvo ora indignarsi se lo stesso premier dice a bassa voce, in privato, quel che loro hanno scritto e pubblicato a titoli cubitali; confermando così dall'interno quella definizione. L'avevamo fino al collo, ora è addirittura sulla bocca di tutti.
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