Dedicato al neoministro Cécile Kyenge.Ieri mi ha fermato un africano per vendermi qualcosa e mi ha detto «fratello bianco».
Io gli ho risposto: «Ma come ti permetti?». Lui è rimasto allibito, pensando che ce l'avessi col fratello, invece ho proseguito: «A me bianco non me l'ha mai detto nessuno», alludendo alla mia carnagione. Lui ha sorriso e mi ha detto: «Io però sono negro, tu sei solo scuro». Negro. Detesto la retorica di dire nero anziché negro, sapendo che l'insulto è nell'aggettivo che può accompagnarlo o nel tono, non certo nella parola negro. E mi piace che sia stato lui a dirlo.
Ma si rendono conto, i retori dell'integrazione, che nero è sempre stata - salvo per i fascisti, i preti e la nobiltà nera - una connotazione negativa? Nera è la morte, il lutto e la sfortuna. Nero - anzi, noir - è l'horror, nera è la cronaca dei delitti, nero è il lavoro sfruttato e l'evasione (ma il rosso in bilancio è peggio). Nero è il buio, nero è l'uomo cattivo dell'infanzia, nera è la giornata disastrosa. Nero è il tempo brutto, il gatto che porta male, il corvo funesto e l'abito dello iettatore. Nero è il futuro negativo, nera è la maglia della vergogna, nero è il volto dell'incazzatura, nera è la minaccia: ti faccio nero. Nera è l'anima del malvagio.
Possibile che con questi precedenti si celebri come un progresso la promozione del negro a nero? Peggio di nero, è vero, c'è solo la definizione di uomo di colore, come se lui fosse un pagliaccio variopinto e noi degli esseri incolori.
Più rispetto per i negri, i chiari e i chiaroscuri.
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