Marziale

EPIGRAMMATON

Liber II, XXV
Das nunquam, sempre promittis, Galla, roganti.
Si sempre fallis, iam rogo, Galla, nega.


A me che te la chiedo, tu sempre
la prometti, però non la dai mai.
Se sempre fai l'inverso, allora
dimmi, Galla, che non me la darai.

Liber III, LXXXVIII
Sunt gemini fratres, diversa sed inguina lingunt.
Diciate, dissimiles sunt magis an similes?


Fratelli son gemelli ma muovono
la lingua su sessi differenti.
Allora che ne dite? Son simili o diversi
(se il loro gemellaggio diverge nel linguaggio)?

Liber IV, LXXXIV
Non est in populo nec urbe tota,
a se Thaida qui probet fututam,
cum multi cupiant rogentque multi.
Tam casta est, rogo, Thais? Immo fellat.


Nessuno in tutta Roma, né fra romane genti,
potrebbe mai provare d'aver fottuto Taide.
Eppure chissà quanti l'avran desiderata ed anche supplicata.
E' Taide veramente fanciulla sì pudica?
Macché: sfrutta la bocca al posto della fica.

Liber VI, XXIII
Stare iubes sempre nostrum, Lesbia, penem:
crede mihi, non est mentula quod digitus.
Tu licet et manibus blandis et vocibus instes,
te contra facies imperiosa tua est.


Tu vuoi che, per servirti, il nostro pene, Lesbia,
sia sempre sull'attenti.
E' meglio tu mi creda: l'uccello non è un dito.
Insisti con carezze, gli dici paroline: ma in verità ti dico che mai,
con quella faccia da femmina imperiosa, te lo farai amico.

Liber VII, XXX
Das Parthis, das Germanis, das, Caelia, Dacis,
nec Cilicum spernis Cappadocumque toros;
et tibi de Pharia Memphiticus urbe fututor
navigat, a rubris et niger Indus aquis;
nec recutitorum fugis inguina Iudaeorum,
nec te Sarmatico transit Alanus equo.
Qua ratione facis, cum sis Romana puella,
quod Romana tibi mentula nulla placet?


Coi Parti vai, coi Daci te la fai ed ai Germani pure o Celia tu ti dai.
Si sa che non disdegni né i letti dei Cilici né quelli Cappadoci.
Da un porto dell'Egitto per te si mette in mare persino
il Menfitano che ha voglia di ficcare.
Da stessa voglia mosso, financo il nero Indiano
accorre dal Mar Rosso.
Affatto non disdegni gli uccelli circoncisi dei maschi di Giudea.
Sfuggire non ti lasci il nomade di Scozia che passa
cavalcando sarmatici cavalli.
Pertanto ti domando: essendo tu romana, puoi dirmi, se lo sai,
perché romana minchia a te non piace mai?

Liber VII, LXXI
Ipsarum tribadum tribas, Philaeni,
recte, quam futuis, vocas amicam.


La tipa che ti chiavi, "amica" poi la chiami.
Fra lesbiche fai bene, o lesbica Filene.

Liber IX, XXXVII
Cum sis ipsa domi mediaque ornere Subura,
fiant absentes et tibi, Galla, comae,
nec dentes aliter quam Serica nocte reponas,
et iaceas centum condita Pyxidibus,
nec tecum facies tua dormiat, innuis illo,
quid tibi prolatum est mane, supercilio,
et nulla movet cani reverentia cunni,
quem potes inter avos iam numerare tuos.
Promittis sescenta tamen; sed mentula surda est,
et sit lusca licet, te tamen illa videt.


Nel cuor della Subura, dov'è la tua dimora,
ti aggiusti quelle chiome ormai inesistenti.
E come si suol fare con gli abiti di seta,
a notte, Galla, i denti riponi con gran cura.
Infine, ben condita da più di cento unguenti,
ti stendi sopra il letto.
Nemmeno la tua faccia ti vuol dormire accanto:
e sì che di buon'ora cominci a fare cenni
alzando il sopracciglio ad arte prolungato.
Non provi alcun rispetto per quella poveretta
canuta vecchia fica che già fra gli antenati potresti annoverare.
Non solo. Te ne vanti: seicento e più delizie prometti a tutti quanti.
Ma sordo resta il cazzo perché, sebbene guercio,
con l'occhio che possiede benissimo ti vede
.

Liber IX, LXIX
Cum futuis, Polycharme, soles in fine cacare.
Cum pedicaris, quid, Polycharme, facis?


Finita la scopata, a farti una cacata in genere tu vai.
Ma quando, Policarmo, in culo te lo pigli, cos'è che dopo fai?

Liber XI, XIX
Quaeris cum nolimte ducere, Galla? Diserta es.
Saepe soloecismum mentula nostra facit.


Ti chiedi e mi domandi perché non voglio,
Galla, pigliarti come sposa?
Usare sai la lingua in modo troppo bello
e sbagli di sintassi sovente fa il mio uccello.

Liber XI, XLVII
Omnia femineis quare dilecta catervis
balnea devitat Lattaia? Ne futuat.
Cur nec Pompeia lentus spatiatur in umbra,
nec petit Inachidos limina? Ne futuat.
Cur Lacedaemonio luteum ceromate corpus
perfundit gelida Virgine ? Ne futuat.
Cum sic feminei generis contagia vitet,
cur lingit cunnum Lattara? Ne futuat.

Perché dai bagni dove di donne ce n'è un frego Lattara gira al largo? Al fin di non scopare.
Perché non va a passeggio all'ombra di Pompeo ne d'Iside al sagrato? Al fin di non scopare.
Perché con fredda Virgo si bagna bene il corpo sugnoso di ceroma?
Al fin di non scopare.
Perché pur paventando contagio femminile la fica va leccando?
Al fin di non scopare

Liber XI, LXII
Lesbia se iurat gratis nunquam esse fututam.
Verum est. Cum futui volt, numerare solet.


Sovente Lesbia giura che gratis, fino ad oggi, scopata non fu mai.
E' vero, va creduta: per essere fottuta pagare deve assai.

Liber XI, XCVII
Una nocte quater possum: sed quattuor annis
si possum, peream, te Telesilla semel.


In una sola notte ne posso fare quattro.
Invece, Telesilla, non son capace a farne - mannaggia, che sfortuna! - nel giro d'anni quattro, con te nemmeno una.

Liber III, LXXI
Mentula cum doleat puero;
tibi, Naevole, culus:
non sum divinus,
sed scio quid facias


L'uccello al tuo schiavetto fa male, poveretto.
A te, Nevolo, invece, dolente è il deretano.
Non sono un indovino ma posso argomentare
cos'è che ti fai fare.

Liber X, LXXXI
Cum duo venissent ad Phyllida mane fututum
et nudam cuperet sumere uterque prior,
Promisit pariter se Phyllis utrique daturam,
et dedit: ille pedem sustulit, hid tunicam.


Da Fillide un mattino, essendo in due venuti,
volevano scopare. Ma chi dei due dovesse pigliarsela
per primo e nuda possederla, oggetto fu di lite.
Allor promise Filli di darsi parimenti all'uno e all'altro insieme.
Così si diede quella: le alzò i piedini l'uno e l'altro,
dalle terga, le alzò la tunichella


Liber III, LXXV
Stare, Luperce, tibi iam pidem mentula desit,
luctaris demens tu tamen arrigere.
Sed nihil erucae faciunt bulbique salaces,
inproba nec prosunt iam satureia tibi.
Coepisti puras opibus corrumpere buccas;
sic quoque non vivit sollicitata Venus.
Mirari satis hoc quisquam vel credere possit,
quod non stat, magno stare, Luperce, tibi?


Ha smesso da un bel pezzo di starti dritto il cazzo.
Eppure come un pazzo tu t'agiti, Luperco, sperando ti si rizzi.
A te non giovan ruche né bulbi-saltingroppa né audace santoreggia.
Perciò tu ti sei dato coi soldi a profanare le bocche d'innocenti.
Benché sollecitata da tali tentativi, l'erotica prestanza
non puoi resuscitare.
Davvero è un fatto strano, chi mai ci crederebbe?
Luperco, come un folle
tu spendi e ce l'hai molle.

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